Raggi di luce.

Tra l’essere e il fare

Un equilibrio, questo, assai delicato.


25/10/2017

Quando mai, nella mia infanzia e gioventù sono stata accompagnata e istruita all’essere?

Quanto invece ho avuto l’esempio del fare?

Questo equilibrio è talmente lontano dal nostro quotidiano, poiché siamo stati cresciuti con l’idea che bisogna essere produttivi, che fare niente è come buttare via il proprio tempo e non è dimostrazione di un comportamento dignitoso. 

Alcune sono cose dette, la maggior parte sono invece credenze di fondo che fanno da comune denominatore nella nostra cultura, nella coscienza collettiva nella quale siamo immersi e che si sta divulgando a macchia d’olio.

La buona notizia è che questa credenza si sta lentamente sgretolando, tuttavia è talmente radicata dentro di noi, come un bellissimo cristallo che ha preso forma nel tempo, che sembra vera e preziosa, e che, a trasformarla, richiede attenzione e centratura, perché una volta toccata con mano, appare sempre più sovente e così facendo diventa tema di indagine e di attenzione. 

La notizia meno piacevole è il fatto che sia diventata una convinzione talmente densa che ha una vita sua ed è quasi una realtà tangibile. Tuttavia, aggiungo, abbiamo il potere della scelta, e la possibilità così di creare il nostro spazio nel modo a noi più consono.

Quante volte mi sono trovata a pensare che se non faccio quello o se non guadagno la tal cifra al mese non sono produttiva e, rimanendo un poco più a lungo ad ascoltare, ho percepito che a braccetto vi era il senso di essere inutile, indegna e non necessaria alla società. 

Di certo non si tratta di belle sensazioni, anzi direi proprio che in questo modo l’autostima e il senso della bellezza e dell’importanza di ogni vita è cosa che perde il suo valore, all’istante.

Essere.

Per un lungo tempo questa parola mi ha accompagnata senza comprenderne il significato, e ancora oggi lo fa. Talvolta bussa alla porta e chiede tempo e spazio per essere ascoltata e sentita, e per aiutarmi a non perdermi in quello che credo essere vero.

Oggi la accolgo con più generosità e mi soffermo più a lungo in sua compagnia, anche se ancora ci casco, nel giochetto spietato del fare.

Eppure quando le dò il valore che ha, succedono cose che altrimenti non sarebbero possibili.

In quello spazio, così sacro e così vitale, scopro un mondo, colorato ed infinito. Anzi mi pare che sia particolarmente prezioso e pieno, che quasi stento a crederci. Diventa un mondo talmente luminoso che dà un senso di essere travolgente e troppo. Mi ritrovo così a darmi il permesso di essere. 

Eppure questa è la nostra natura. 

Ci siamo spinti talmente lontano che abbiamo dimenticato. È perciò talvolta necessario che qualcuno ce lo rammenti e che venga a presentarsi all’uscio affinché ricordiamo che senza di lei non c’è vita, non c’è equilibrio e nemmeno armonia.

Poi mi guardo dentro e scopro cose di me nuove, fino ad allora sconosciute o talmente sotterrate da uno strato di polvere che inizialmente danno la sensazione di essere estranee. Allora, a quel momento, alcune memorie e conoscenze riprendono vita e possono essere usate e rese disponibili.

Quanto lavoro! E che bello!

Prima ci si costruisce un castello che sembra bellissimo, poi, guardando con gli occhi dell’anima, si vede che tanta è apparenza e che, forse, alcune cose vanno riviste. Allora si tolgono delle ali del castello, qualche torre e si rifanno delle parti, poiché non sono più consoni a quello che si è scoperto essere. Talvolta si prende distanza, ci si trasferisce in una grotta o in un luogo più semplice, prima di poter tornare al castello e cambiarne la costruzione. 

Allora iniziano i lavori di ristrutturazione che permettono di sentirsi sempre più a casa propria.

Un senso di calore viene ad avvolgere tutto il corpo e lo spazio circostante, quasi ci fosse un camino a scaldare l’ambiente, ci si può finalmente mettere comodi e sentire un senso di pienezza e di familiarità con quella che è diventata una vera reggia, in armonia con quello che si è.