Raggi di luce.

Siamo la cura ai nostri mali

17/08/2020

Uno dei sintomi della nostra società è di credere che la cura ai nostri mali e alle malattie venga da fuori, dal medico, dalle medicine, da questo e da quello. 
Ciò altro non fa che continuare ad alimentare la credenza che la guarigione sia qualcosa a noi esterno, che non vi possiamo accedere noi stessi e che è l'altro (persona o cosa) che mi guarirà. 
Questa è una delle malattie della nostra società, nella quale viviamo e che abbiamo costruito in questi ultimi millenni, tutti insieme, attraverso le nostre scelte.

La conseguenza è che quando ci rechiamo da chi ci può aiutare abbiamo la tendenza a dare in mano la nostra salute all’altro, senza più – o molto poco – assumerci le nostre responsabilità, cioè attivare la forza di autoguarigione che esiste dentro sé.
Chiarisco che non significa non andare a farsi aiutare, al contrario, un sostegno è necessario, una spinta, una visione dall’esterno è di grande aiuto, ci permette di proseguire nel cammino verso la guarigione. Tuttavia non basta, noi siamo coloro che abbiamo creato il disagio, anche se spesso inconsapevolmente, e coloro che possono ripristinare lo stato originale.
La partecipazione è fondamentale.
Più l’intento è saldo, più la volontà è presente, maggiori sono le chance di attingere e rinforzare la capacità di autoguarigione.

Come abbiamo costruito insieme questa società, così insieme la possiamo ricreare, destrutturare e ristrutturare con delle basi che sono le fondamenta stessa della vita, cioè a favore del benessere e dell’abbondanza di tutti.
Alcuni dei suoi pilastri sono:
la cooperazione e la co-creazione,
l’amorevolezza e la benevolenza,
la fermezza d’intento e la forza di volontà,
l’assunzione delle proprie responsabilità e della propria vita,
la condivisione e la comunicazione,
l’armonia con la natura e i suoi cicli,
l'auto-indagine,

e l’unione e la comunione il centro della struttura.

Un altro sintomo della nostra società a cui desidero portare l’attenzione è il seguente: quando una persona si ammala non è solo un suo problema, la sua malattia non proviene solo dal comportamento o dalle credenze della persona, bensì è il problema di tutti. È il risultato del costrutto della collettività, chiamata oggigiorno società. È la conseguenza delle credenze della coscienza collettiva, che insieme abbiamo creato.

Pensare che la malattia appartenga solo alla tal persona ed ella ha un problema, è isolare la persona e isolare la malattia come qualcosa di suo e basta, di estraneo a tutto il resto. È come cucinare per la famiglia intera e poi tenere il cibo per sé, mangiare da soli al tavolo solo perché si è la persona che l’ha cucinato. Con la malattia facciamo l'opposto, abbiamo definito che è il problema della persona e di nessun altro.
Sembra assurdo eppure è proprio così. 

Il senso di separazione nel quale viviamo è talmente grande che neanche ci rendiamo conto. È così subdolo e nascosto da farci credere che il problema è della persona stessa e basta, che noi non centriamo nulla, quando invece avremmo da prenderci cura tutti della persona e del suo problema, della sua malattia.
Questa è cosa difficile oggigiorno. Allora come possiamo esserne parte?
Possiamo almeno interrogarci, domandarci “come posso io aiutare in questa situazione?”
Non significa mollare tutto, il lavoro, la famiglia, gli amici, ecc, e andare ad aiutare tutti coloro che sono ammalati, al contrario, è sinonimo di guardarsi dentro e comprendere cosa dentro di sé che ancora sta alimentando una struttura – la nostra società – che si guarda bene dal farsi carico di quello che sta creando, che continua a deresponsabilizzarsi, che non va alle cause del problema e che continua a mettere cerotti su cerotti laddove c'è una ferita aperta e purulenta (come chi continua a produrre usando plastica, chi sostiene un’economia che è basata sulla competizione, chi produce medicamenti che guardano al solo sintomo, ecc.). Ma non ho bisogno di elencare, poiché ognuno di noi ben sa che cosa è ancora malsano o malato nella nostra società.

Ecco che guardarsi dentro, osservare dove tutto ciò si è depositato e prendersene cura, dentro di sé, è fonte di guarigione per tutti, per sé e per la collettività. 

Sì perché quando ci prendiamo cura di noi stessi e delle nostre strutture distorte e dolenti ci prendiamo sempre cura anche della collettività intera.

Questa è guarigione.

Tutto il resto è perpetuare una forma di separazione, dove continuiamo a puntare il dito verso l’altro e gli altri, cioè giudicare, e dove mai ci prendiamo a carico noi stessi e il collettivo. 

Credendo che la malattia appartiene solo a chi ce l’ha manteniamo attiva e viva dentro di noi, nella società e nella sua forma pensiero una griglia basata su “il tuo problema non è il mio, tu sei la causa del tuo male, arrangiati da sola che io proseguo per la mia strada”. Oltre che essere assurdo e malsano sta alla base di questa follia che chiamiamo società. 

Entrando nella possibilità e nel sentire che “il tuo problema è anche il mio, insieme l’abbiamo creato e insieme possiamo cambiarlo, poiché tu sei me e io sono te”, allora portiamo nutrimento verso l’amor proprio e l’amore dell’altro, dove non esiste più separazione, bensì unione. Così possiamo camminare mano nella mano e proseguire nell’eradicare la malattia, le credenze distorte, il dolore, e uscirne tutti risanati e vivacizzati, con nuova vita e maggior benessere per tutti.

.. nell'amore dell'unione.