Raggi di luce.

Il senso di impotenza,

e alcune considerazioni a proposito.


18/06/2019

Ultimamente mi sono ritrovata di fronte ad alcune situazioni nelle quali non ero in grado di avanzare o di essere di aiuto.
Ho visto chiaramente i miei limiti, il mio ego, il desiderio di essere d’aiuto, e l'incapacità di vedere le cose da un altro angolo; di accogliere vissuti e sensazioni.

Tutto questo mi ha toccata nel profondo, e ha fatto affiorare dapprima un senso di impotenza, accompagnato da frustrazione ed irritazione, poi diverse domande.
In questi anni di indagine ho imparato a non rispondere subito alle domande, bensì a lasciarle scendere nel profondo, affinché si posino sui fondali e lì vadano a respirare per un tempo.
Fatto ciò e lasciato spazio, mi sono poi infilata in una tana e ho seguito i tunnel già scavati, e questo è quanto mi veniva mostrato.
Credo che tanti di noi, donne e uomini, siano già entrati in questa tana, ma forse lì si sono fermati.

Ho trascritto qui quanto è emerso:

- Traduzione di “essere o fare la brava bambina” = comportarsi come gli altri vogliono o dicono, cioè far piacere a tutti gli altri, dovendo dimenticare completamente sé stessa, per quel momento, con tutto quello che si sente dentro. È come mettersi addosso un vestito che non è il proprio e che non piace, e doverlo fare subito, poiché nessuna alternativa è stata offerta.
È l’inizio della svalorizzazione della propria natura interiore, l’allontanamento dai propri vissuti del momento, l’amputare una parte di sé per dover essere in un certo modo, perlopiù stereotipato, e che non c'entra nulla con quello che si è. 
Generalmente inizia quando si è piccoli, attraverso un ordine verbale (che è un'imposizione). Nell’innocenza si ubbidisce e a poco a poco si assumono atteggiamenti, modi, comportamenti che non sono più naturali, bensì mozzati nella loro essenza.
È necessario ritrovarsi: ritrovare i vestiti che c'erano sotto a quelli che ci hanno forzato a mettere (generalmente lo hanno fatto "a fin di bene"), alfine di ritrovare la vera bambina, quella che non è brava, bensì autentica.

- Traduzione di “essere troppo buono” = ho la sensazione che dentro di me manca qualcosa, perciò per riempire questo senso di vuoto sarò ancora più buono di quello che sono gli altri. Lo faccio per fare in modo di ricevere il tuo riconoscimento, per sentirmi approvato. Per ricevere il tuo amore farò di tutto, anche questo (gesto o azione), pur di averti al mio fianco e fare in modo che non mi lasci solo nel mio mondo, nel quale soffro e in cui mi manca qualcosa. Ho bisogno di te, perché senza di te … non ce la faccio/non sono nessuno/sto male/soffro/sono incapace/nessuno mi vuole, ecc. 
Alla base di questo atteggiamento c’è una sofferenza e una mancanza che riempiamo cercando il sostegno e l'amore degli altri, poiché da soli non ce la facciamo – da piccoli – o non sappiamo come fare a farcela, a sentirci abbastanza per noi stessi, poiché non ne abbiamo gli strumenti – da grandi.
Tuttavia, questo sostegno o amore che cerchiamo negli altri, ha una base instabile e poggia su un bisogno, il quale sempre si rivolgerà all'esterno per essere riempito. Sappiamo tutti, da adulti, che è necessario rivolgersi all'interno perché solo così potrà veramente essere soddisfatto. Sennò rimane una ricerca continua e senza esito positivo poiché nessuno e nulla di esterno potrà riempire quel vuoto interno. 

- Bisogno di riconoscimento: Quante volte mi sono ascoltata dire: “sì, ma io l’ho aiutata quando stava male.” oppure “sì, però lui non mi ringrazia mai” o “sì, ma non mi ascolta e ogni volta gli ripeto le stesse cose.” 
Già solo il fatto che un “sì” sia seguito da una parolina tanto piccola quanto potente come un “ma” o un “però” significa che già sto negando il sì con cui ho iniziato la frase. Quelle congiunzioni sono tricky, come direbbero gli inglesi, cioè sono furbette. In sostanza il "ma" e il "però" dicono: “sì, va bene quello che mi dici, ma io ho ragione”.
Che cosa significa questo? Nel primo caso mi aspetto che lei sia riconoscente verso di me e quello che ho fatto per lei; nel secondo caso mi aspetto che lui mi ringrazi o faccia un gesto di apprezzamento; nel terzo ritengo che lui dovrebbe cambiare dato che io so cosa è meglio per lui, che continuo a ripetergli le stesse cose, e che in fondo – e neanche troppo – dovrebbe essere riconoscente di quello che faccio per lui. 
Insomma un bel po' di presunzione, di bisogno di riconoscimento, di ego, di brama di attenzioni e di necessità di essere al centro dell'attenzione. Quando mi vedo in tutto questo, allora sorrido, e mi dico che c'è ancora un po' di lavoro da fare :)  
Quando invece ci sono dentro con tutta me stessa, neppure mi accorgo dei miei bisogni e dei giochetti dell'ego. 

Le situazioni che ho elencato sopra sono tutte questioni che rinnegano il mondo interiore, che ci tengono lontani da noi stessi, dal nostro vissuto e da quello che la situazione ci sta comunicando.
Allora mi domando: "Come facciamo ad avere delle relazioni sane, quando sotto il livello di consapevolezza c’è tutto questo?"
La risposta, al momento, è che il fatto di esserne almeno consapevoli ci dà l'opportunità di trasformarle e di diventare sempre più il distributore di attenzioni e di amore per noi stessi, cercando sempre meno verso l'esterno.

“God spear me from seaking love, appreciation and approval. Amen” 
Tradotta: “Dio risparmiami dalla ricerca di amore, apprezzamento e approvazione. Amen”

La prima volta che ho sentito Byron Katie dire questa frase mi ha toccata, poi più entravo ne “Il Lavoro” ("The Work") ha iniziato a farmi sorridere. Ancora oggi sorrido quando la leggo o la sento. Mi dà il metro di quanto ancora sto cercando la fonte di amore, apprezzamento e riconoscimento all’esterno, dagli altri, dal mondo intero, quando l’unica via è quella di trovarla dentro di me. Gli altri non potranno mai darmela, sicuramente non come la desidero io, e se mai dovesse succedere è un surplus :)

“Sii felice con quello che hai.”
Un'altra di quelle frasette birichine! Quando sono centrata così mi sento, e quando sono destabilizzata mi vien da dire: mica è sempre facile. Nessuno dice che sia facile, non c'era scritto nelle istruzioni he ci hanno dato prima di arrivare sulla Terra. Eppure riconosco oggi che è una delle vie verso la libertà, verso l’indipendenza su tutti i livelli (emotivo, mentale, fisico), verso sane relazioni, con sé e con gli altri, verso l’unione, verso la vita.

Gli altri non potranno mai darci quello che chiediamo loro, poiché è una nostra necessità e non sta a loro riempirla. Gli unici che possono adempiere a questa richiesta siamo noi stessi. Se poi lo faranno anche gli altri, evviva!, gioiamo ulteriormente. Tuttavia se ci aspettiamo che siano gli altri a farlo, rimarremo molto spesso delusi, frustrati, a mani vuote e con un senso di solitudine. Privi della forza vitale, che già scorre dentro di noi, e che in quel momento non possiamo sentire poiché la nostra attenzione è rivolta verso l’esterno, verso gli altri.
Se solo riuscissimo, anche per un attimo, a volgere lo sguardo verso l’interno e cogliere quella linfa, potremmo essere nuovamente nutriti, e in abbondanza.

Chi si aspetta o ha già vissuto questo sentimento, che debbano essere gli altri i suoi salvatori, alzi la mano.

… la mia è alzata :)

Buona vita.